Come eravamo

L’idea è quella di raccogliere e condividere vecchie foto di Saletta e dintorni, racconti del passato, antiche poesie da condividere, ricordare e tramandare ai posteri. Diamoci da fare, compaesani…

La storia della buona notte – di Nunzia

Il vignale – di Lorenzo

Un bel matrimonio – di Francesco Sebastiani

La festa di Saletta negli anni – di Carla Colasanti

A mio zio Giovanni – del Macina

La storia della buona notte

di Nunzia Calcioli

Gigi uno di noi

C’era una volta, un bambino di nome Luigi che abitava a Santa Ricchia insieme ai suoi genitori Silvestro e Annunziata. Luigi era il più grande di tre fratelli. Voleva molto bene a suo fratello Elio e sua sorella Elide e stava sempre insieme a loro, durante i faticosi lavori nei campi e a scuola. Era goloso di crespelle e castagne e quando la mamma preparava gli gnocchi era gran festa per lui come se fosse il suo compleanno.

Un brutto giorno però Luigi si ammalò e c’è mancato veramente poco che Sorella Morte se lo portasse via. Ma la sua voglia di vivere fu più forte e così Luigi guarì, ma non completamente.

Negli anni che passarono rimase sempre un passo indietro agli altri, ma nessuno aveva smesso di volergli bene, perché era rimasto il ragazzo generoso e gioioso di un tempo. Passò qualche anno e Luigi crebbe e divenne un uomo. I suoi fratelli si sposarono e sua sorella diede alla luce tre bambini a cui Luigi si affezionò tantissimo, tanto che ogni volta che Elide telefonava da Roma, dove nel frattempo si era trasferita, lui chiedeva con impazienza quando sarebbe venuta tutta la famiglia a Saletta. Ed i suoi nipoti erano altrettanto impazienti di trascorrere qualche tempo in sua compagnia in quel magico Paese, dove tutto era calma, tranquillità, serenità. Accompagnarlo alla stalla delle vacche per loro era un gran divertimento, stavano ore a guardarlo mentre si prendeva cura degli animali con lentezza, precisione e… amore.

Quando il Paese si animava d’estate lui era sempre fuori a chiacchierare e giocare a carte con tutti e tutti gli volevano bene, perché non si poteva resistere a quel sorriso sdentato e a quel modo di guardarti “troppo” da vicino. Luigi divenne lo Zio Giggi di tutta Saletta. Quando i “romani” arrivavano lui stava sempre lì alla curva della Fontanaccia, rischiando di essere investito, con la sua sigaretta in mano, come se stesse di guardia al Paese, come se lo volesse difendere dagli estranei.

Adesso non c’è più nessuno a difendere quell’angolo di Paradiso, dove tutti non possono fare a meno di tornare anche solo per un giorno. Lui sapeva bene quanto possono entrarti dentro l’anima quattro pietre ed un camino. Quando andava a Roma a trovare Elide, sembrava un orso in uno zoo, perché il suo posto era a Saletta, in quell’angolo a vigilare con i suoi occhietti miopi che tutto rimanesse al suo posto e che il tempo scorresse sempre lentamente.

Adesso Zio Giggi non lo si vede più alla curva della Fontanaccia, però se vi capita di fare una passeggiata verso Villa, voltandovi dopo la curva verso il Paese, vi sembrerà di vederlo ancora, con la sua sigaretta in mano e la faccia assorta cercando di mettere a fuoco la persona che lo sta guardando.

Come la sua la presenza di certe persone in questo nostro Paesello si sente sempre anche se fisicamente non sono lì.

Buonanotte Gì.

Tu’ nipote

Il VIGNALE

il posto sotto il quale si sono riunite generazioni di salettani!

Fotografia gentilmente inviata da Lorenzo. Grazie!

Un bel matrimonio

di Francesco Sebastiani

Il matrimonio di Marcella e Pippo (i nonni del nostro caro Gino) nel 1954. Non ne sappiamo un granché, a dire il vero… Se a Gino andasse di prendere qualche informazione non sarebbe male! Comunque… che bella Saletta cinquantanni fa!

Ecco altre due belle foto d’epoca. La prima ritrae Marta e Marcella. La seconda la vecchia casa di Annita.

Le foto appartengono sempre all’archivio di Francesco (e a tutta Saletta, ovviamente!)

La festa di Saletta negli anni

di Carla Colasanti

La festa di Saletta è sempre stata una tradizione molto sentita e un momento di aggregazione per il paese e per le singole famiglie. Nell’arco degli anni la festa si è modificata sia per i cambiamenti generali, sia per le esigenze del paese.

Da che memoria ricordi, la festa si svolgeva in due giorni distinti, la prima domenica di giugno, in onore di San Silvestro (che in realtà cade il 31 dicembre, come tutti sappiamo) e la prima domenica di settembre, in onore della Madonna degli Angeli; poi, negli anni settanta, si decise di unificare le due ricorrenze e svolgere la festa paesana il 13 di agosto, per dare a tutti (anche a quei tanti che durante il periodo lavorativo sono lontani) la possibilità di parteciparvi.

Secondo i racconti e le memorie dei più anziani, a cavallo tra la prima e la seconda guerra mondiale i festeggiamenti erano organizzati da Vincenzo Sebastiani e da Antonio Poggi; poi, dopo il secondo dopoguerra la festa era gestita a turno, anno per anno, da due famiglie del paese, una delle quali aveva il compito di invitare a pranzo il prete che avrebbe officiato la funzione religiosa. I “Santari” o “Festaroli”, insomma gli organizzatori di turno, passavano quindi di famigli in famiglia per la raccolta delle offerte che sarebbero servite a coprire le spese della messa.

A quei tempi la festa consisteva nella celebrazione della messa, al mattino, seguita dalla processione per le vie del paese con i tradizionali “botti”. Prima della funzione, tramite asta, si formava il gruppo di persone destinato a portare in processione la statua. L’asta funzionava così: un capo gruppo si recava in chiesa, dove veniva affisso il foglio sul quale venivano scritte le quotazioni; poi si apriva l’asta ed al maggior offerente spettava l’onore di portare la statua di San Silvestro o della Madonna in giro per il paese. Molto sentita era l’usanza di invitare parenti ed amici di fuori Saletta.

Nel corso della giornata di festa si svolgevano giochi tradizionali quali il Tiro al Gallo e la Pentolaccia; poi, la sera, si ballava nell’aia al suono dell’organetto e delle “ciaramelle”, c’erano cantori “a braccio” sia del paese che di fuori e gli uomini giocavano alla “morra”. Inoltre, previo permesso comunale giornaliero, veniva aperta una piccola osteria. Si ballava, ci si divertiva, si stava tutti assieme, ci si ubriacava e, qualche volta, ci scappavano pure le botte!

La festa è poi cambiata, negli anni ’60-’70. Da due giorni singoli e distinti si è passati a due o tre giorni in fila, verso ferragosto. Dall’organetto si è passati al complesso di musica leggera, si sono organizzati giochi anche per i bambini, si è addobbato il paese con luci e festoni e, a volte, ci si è concesso anche qualche fuoco d’artificio. La cerimonia religiosa, però, è rimasta un punto fermo, così come i giochi popolari.

Con la costituzione, alla fine degli anni ottanta, della Associazione Amici di Saletta, per volere del Presidente Giovanni Poggi e di un comitato di gestione, la festa è divenuta sempre più un momento di unione e di aggregazione paesana. Il resto è cronaca di festeggiamenti recenti. Nonostante il passare degli anni, l’evolversi dei costumi e delle situazioni ed il ricambio generazionale, l’onoranza dei Santi Patroni è rimasta una delle pochissime tradizioni ancora vive; dimostra attaccamento verso il paese e ripetto per coloro che ci hanno preceduto e dei quali portiamo i cognomi e, spesso, i nomi.

W Saletta! W la Madonna degli Angeli! W San Silvestro!

A mio zio Giovanni

del Macina

Era bello, qualche anno fa, sentir dire a papà e mamma “svelti bambini, a letto, che domattina si parte presto per Saletta!” Bello, bellissimo, si tornava a trovare zio Giovanni e zia Angelina, e Maria, Mirella, Maria Rosa e tutti gli altri amici e parenti del posto delle favole, il posto del cuore.

E già dal letto, non riuscendo a prender sonno per l’emozione, si pregustava l’amatriciana di zio Giovanni, ex cuoco a Roma, che ci portava in giro tutta la mattina (quel che restava della mattina, dopo il lungo viaggio) per cercare il guanciale giusto da Chiappini a Villa, oppure ad Amatrice o ancora chissà dove, finché non l’aveva trovato “bello” come diceva lui (e buono!)

Poi, una volta in tavola, lui riempiva i piatti ed i bicchieri ed augurava “buon appetito a tutti, meno che uno…” e mia sorella ed io facevamo a gara per essere quell’uno così “mascalzone” da non aver meritato l’augurio di zì Giò, che ci guardava con quel tenero sorriso da lenza, sotto  i baffi ispidi.

A pensarci ora era proprio buffo, lui. Tutti scapigliato, con quei capelli duri come i peli di una spazzola, sempre tagliati cortissimi per non avere il peso di pettinarli e di “domarli” tutte le mattine.

Era tornato a casa, finalmente, dopo una vita in giro per cucine, a Roma. A casa, a Saletta, con la moglie e le figlie, come sempre. Ed ora quel suo paese se lo godeva come diceva lui, senza catene e con il solo obbligo di accudire il suo amico Nino, il maiale (o meglio i tanti nini che si succedevano anno dopo anno) e di curare l’orto scosceso fino al fosso.

Non era troppo amato, zì Giò, dalla gente. Lo chiamavano “Lu Cane”, forse perché se ne stava sempre solo, per i fatti suoi, oppure perché in lui vedevano una cattiveria che invece era soltanto discrezione, libertà, senso profondo della privacy, per dirla come oggi va di moda. Si faceva i fatti suoi, come tutti, ma a lui non l’avevano mai perdonato, chissà per quale inconfessata bega di paese (magari vecchia di cent’anni).

Certo, era ruvido. Ruvido e duro come la corteccia degli alberi, come le pietre delle vecchie case di Saletta, come il ghiaccio dell’inverno, quello che poi si scioglie subito al primo sorriso del sole, alla prima carezza del caldo di primavera.

Era bello venire a Saletta. Era bello mangiare tutti quanti insieme, in quella vecchia casa umida, calda e profumata di legno, dei suoi salumi, del suo prosciutto, della pappa bollente per il maiale. Era bello sentire le mani secche e forti di zì Giò che ti tiravano su per baciarti. Era bello, ed è bello ancora oggi!

Ciao zì Giò, ciao zì Angelina e ciao a tutti voi che ci avete insegnato Saletta e che continuate a guardarci e a guidarci da cielo.

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